VASILI E STANISLAV MI SALVARONO LA VITA
Alessandro Verdecchi 01/01/2020
Se sono arrivato al primo gennaio del 2020 forse lo devo a Vasili Arkhipov e a Stanislav Petrov. Ma chi sono questi due che mi hanno salvato la vita ? Intanto li ringrazio profondamente anche se ormai sono morti entrambi. Vasili era nato il 30 gennaio 1926 in Unione Sovietica, oggi Russia , in una famiglia di contadini nella città di Staraya Kupavna , vicino a Mosca . E’ morto il 19 agosto 1998. Stanislav era nato il 7 settembre 1939 vicino a Vladivostok , anche lui in ex Unione Sovietica, ed è morto il 19 maggio 2017.
Ma andiamo per ordine. Preciso subito che io questi due signori non li ha mai conosciuti ma nonostante ciò gli riconosco tutti gli onori possibili per avere salvato dall’estinzione la nostra specie umana e di conseguenza anche la mia vita. Iniziamo da Arkhipov. Dopo 20 anni dalla morte, nel 2018 finalmente l’Institute of Engineering and Technology at the Savoy Place di Londra decise di rendere onore a un eroe semi sconosciuto del secolo scorso, Vasili Alexandrovich Arkhipov, il sommergibilista russo che durante la guerra fredda evitò un olocausto nucleare salvando di fatto il mondo da un nuovo conflitto mondiale. Il suo nome è sconosciuto ai più, ma la sua storia è quella di un uomo che ha contribuito a cambiare con le sue scelte il corso della storia. Ma chi è stato Vasili Alexandrovich Arkhipov e cosa ha fatto di così importante per evitare un catastrofico conflitto mucleare ? Era il 1962, anno della crisi missilistica cubana. Un sommergibile militare russo venne intercettato dalla marina USA nelle acque caraibiche nel periodo di più alta tensione tra Washington e il Cremlino dopo la decisione di quest’ultimo di installare postazioni di lancio missili a Cuba. Il sottomarino rimase immobile, nascosto in profondità. Gli americani decisero di lanciare cariche esplosive per costringere il mezzo a tornare in superficie. All’interno del sommergibile regna il caos. Le esplosioni ravvicinate fanno tremare tutto: gli statunitensi non sanno che i sovietici sono in possesso di armi nucleari a bordo del sottomarino e che sono autorizzati ad usarle in caso di pericolo. Il comandante Valentin Savitsky di quel singolo sottomarino era convinto che si trattasse di un attacco ostile mirato alla distruzione del sottomarino, pertanto si rifiutò di emergere, e anzi fece scendere ulteriormente il sottomarino in profondità e fu così escluso da ogni comunicazione esterna.
Il capitano Savitsky giunse alla conclusione che la guerra era iniziata. Cercò la necessaria approvazione di altri due ufficiali a bordo, l’ufficiale politico Ivan Masslenikov e il comandante della flottiglia Vasili Arkhipov, il nostro Vasili, per lanciare un siluro nucleare. Masslenikov fu d’accordo. Arkhipov no. Valentin Savitsky intanto ordinò: “Preparate la testata”. Un siluro che ha la stessa potenza della bomba lanciata su Hiroshima. Nel suo mirino ci sono 11 navi americane, che verrebbero spazzate via immediatamente. Il protocollo voleva che il lancio della testata doveva essere approvato da un voto unanime dei tre ufficiali. Masselenikov e Savitsky votarono a favore ma Arkhipov fu fermo sulla sua posizione e non votò per il lancio. Erano solo a un voto di assenso dall’inizio della guerra nucleare numero due e della guerra mondiale numero tre. È sempre un cliché dire “nessuno vuole la guerra, specialmente nucleare”, ma alcuni in realtà la vogliono o l’hanno voluta. E almeno alcuni sono pronti ad accettarla se appare come la cosa migliore da fare in quel momento per non venir meno al proprio dovere.
Arkhipov mantenne la sua posizione, tuttavia, contro la crescente rabbia del comandante del sottomarino, rifiutando di approvare un lancio di siluri nucleari che molto probabilmente avrebbe innescato un conflitto che avrebbe condannato la civiltà, se non anche la maggior parte o tutta l’umanità.
Dai resoconti dell’epoca emerge che il calore nel sottomarino aumentò e che i sistemi di condizionamento dell’aria collassarono nella nave profondamente sommersa, ma Arkhipov mantenne la sua calma emotiva e di giudizio anche quando le tensioni si accesero all’interno del sottomarino quel fatidico 27 ottobre, così come nel mondo esterno.
A favore di Arkhipov c’era la sua credibilità di leader guadagnata da un precedente comando in cui aveva salvato la sua nave a propulsione nucleare dal naufragio. Vasili Arkhipov era chiaramente qualcuno da prendere sul serio in materia di vita e morte, guerra sottomarina e energia nucleare.
La tensione nel sottomarino era al massimo. Se l’ordine di lancio fosse stato impartito, sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale. Una responsabilità enorme. E’ in questo momento che intervenne Vasili, 34 anni, ufficiale in seconda a capo della squadriglia di sottomarini. Non poteva continuare a contrastare con il suo voto contrario la decisione del suo capitano, ma ugualmente cercò di motivare la sua contrarietà. Spiegò che se gli americani avessero voluto affondarli lo avrebbero già fatto: “Quelle non erano cariche letali. Stanno solo dicendo di riemergere in superficie. Sanno che siamo qui, vogliono parlarci: Non dia l’ordine”. Alla fine Vasili riuscì a convincere Valentin Savitsky a rischiare di emergere per ricevere aggiornamenti e ordini.
Il comandante ascoltò quel suo sottoposto e decide di riemergere. Gli americani intimarono al sottomarino di andarsene e non effettuarono nessuna ispezione a bordo. Solo cinquant’anni più tardi sapranno che quel sommergibile conteneva testate nucleari. Nel 2002, il comandante in pensione Vadim Pavlovich Orlov, un partecipante agli eventi, tenne una conferenza stampa rivelando che i sottomarini erano armati di siluri nucleari e che Arkhipov era la ragione per cui quei dispositivi non erano stati sparati. Orlov ha presentato gli eventi in modo meno drammatico, dicendo che il capitano Savitsky perse la calma, ma alla fine si calmò.
Parlando della crisi dei missili cubani nel 2002, Robert McNamara , allora segretario alla Difesa degli Stati Uniti, dichiarò: “Ci siamo avvicinati molto” alla guerra nucleare, “più vicini di quanto sapessimo in quel momento”. Arthur M. Schlesinger Jr. , consigliere dell’amministrazione John F. Kennedy e storico, ha continuato questo pensiero affermando: “Questo non è stato solo il momento più pericoloso della Guerra Fredda. È stato il momento più pericoloso per la storia dell’umanità.”
Con Stanislav Petrov siamo ben oltre questi fatti del ’62, in un evento decisamente più drammatico. Infatti ancora piu’ rischioso fu il 26 Settembre 1983, in cui per una serie di coincidenze e malfunzionamenti fu segnalato dai computer al sistema antimissilistico sovietico un attacco nucleare americano composto prima di 1 e poi di 5 missili armati di testate nucleari. Per fortuna al comando della stazione che segnalava tale attacco c’era una persona con la testa sulle spalle, il tenente colonnello Stanislav Petrov, che nonostante fortissime pressioni a segnalare l’attacco al comando centrale per scatenare una controffensiva nucleare si convinse che un assalto con così pochi missili non aveva senso, e decise di prendersi la responsabilità di interpretare tale segnalazione come un errore del computer, come effettivamente poi si rivelò. Se Petrov avesse riferito di missili americani in arrivo, i suoi superiori avrebbero potuto lanciare un attacco contro gli Stati Uniti, scatenando una corrispondente risposta nucleare. Petrov dichiarò l’indicazione del sistema un falso allarme. Più tardi, fu evidente che aveva ragione: nessun missile si stava avvicinando e il sistema di rilevamento del computer non funzionava correttamente. È stato successivamente determinato che il falso allarme era stato creato da un raro allineamento della luce solare sulle nuvole d’alta quota sopra il Nord Dakota e le orbite Molniya dei satelliti, un errore successivamente corretto correggendo il riferimento a un satellite geostazionario.
Se Stanislav avesse seguito pedissequamente il protocollo senza porsi domande i sovietici avrebbero lanciato un contrattacco nucleare massiccio e ora noi non saremmo qui a discuterne. Da notare che il tenente colonnello Petrov, a cui tutti noi dobbiamo la vita, fu dismesso con disonore dall’esercito sovietico per non aver eseguito gli ordini, e morì con una modesta pensione, praticamente in povertà, circa due anni fa. A lui, oltre a vari riconoscimenti dell’ONU eccetera, è dedicato un docufilm “The Man Who Saved The World” che narra appunto l’episodio e ci fa capire quanto senza saperlo siamo passati a un soffio dall’estinzione e come questo sia stato evitato solo per la forza di carattere e il buon senso di un unico singolo uomo che si e’ trovato nel momento giusto al posto giusto ed ha fatto la scelta giusta per tutti noi. Grazie Stanislav, da parte di tutti noi abitanti di questo pianeta.