CHI ERA FRA DOLCINO L’ERETICO ?
ALESSANDRO VERDECCHI 07/07/2019
Sono sempre più convinto che la soluzione per un occidente così in crisi come quello che stiamo vivendo nel nostro tempo, sia da ricercare nella nostra storia. Non nella storia istituzionale, dei vincenti, ma in quella dei dissidenti, dei così detti eretici, degli utopici, dei perdenti. Lo stesso Cristo è in questa categoria prima che i vincenti si appropriassero del suo martirio per distorcere il suo messaggio e fondare una religione molto lontana dal suo pensiero. Onestamente credo che dovremmo essere capaci di guardare alla nostra storia per trovare i semi di quelle alternative di pensiero che ci hanno preceduto suggerendo altri percorsi . Questi semi non sono mai diventati solide piante dell’umanità ma nondimeno sono ancora lì dove qualcuno li ha gettati in attesa di acqua per sbocciare. In tempi lontani degli esseri umani avevano immaginato un mondo diverso. Altri rapporti sociali, altre concezioni della vita associata, un altro destino per l’umanità.
Mi trovo da qualche tempo in una zona delle prealpi del settore nord ovest , al confine della Val d’Aosta , tra il gruppo del monte Rosa e Biella . Non importa sapere cosa sto facendo qui , di fatto ci sono. Un posto strano, molto particolare, incastrato in questo angolo d’Italia che si incunea nel fianco della Svizzera. Per farla breve, sono in Piemonte, la parte alta , quella della Francigena, dei Celti, di Annibale che fece il mazzo al nascente impero romano. Girovagando per strade , stradine, sentieri e montagne varie , mi sono continuamente imbattuto con memorie di vario tipo di un signore nato, vissuto e morto da queste parti a cavallo tra il 1200 e il 1300 : “Fra Dolcino”. Non so quanti anno sentito parlare di lui . A livello nazionale ho dei dubbi per non dire a livello internazionale. Certo non sto parlando degli intellettuali o storici di settore ma delle masse. Da queste parti ancora se ne parla, tutti sanno chi era , ma pochi conoscono il suo pensiero perché è etichettato da tutti come “l’Eretico Fra Dolcino”. Marchiato a sangue dalla chiesa Cattolica Romana per sempre rimane un Eretico. Lui e Francesco d’Assisi in poche parole dicevano la stessa cosa solo che Francesco piegò la testa al Papa e Dolcino non piegò nemmeno un dito della mano sinistra alla curia romana. Risultato finale, il rogo ! Ho approfondito questo personaggio affascinandomi sempre più ad ogni pagina che ho letto su lui. Ma andiamo per passi e vediamo di capire cosa accadde in quegli anni piuttosto oscuri e sanguinosi.
Premetto, per non indurre alcuno a interpretazioni sbagliate, affermando quelle che sono le mie conclusioni dopo tante letture sull’argomento e cioè che Fra Dolcino è a mio giudizio uno dei pensatori più affascinanti della nostra storia italiana .
Tutto era cominciato con il Concilio di Lione (1274), che ereticizzava il dissenso, introduceva l’Inquisizione, imponeva una teologia di carattere teocratico che non poteva che scontrarsi con altre ed opposte istanze pure presenti da gran tempo tra il “popolo di Dio” e nella stessa Chiesa gerarchica.
Questo Concilio fu devastante per gli anni a venire. Produsse una frattura di portata storica. Pose le basi per una successiva identificazione tra “eresia” e “magia – stregoneria”, dei cui frutti avvelenati patirà l’intera Europa, avviando la caccia a streghe e stregoni , incendiando il territorio con roghi per lungo tempo.
Dolcino fu dapprima seguace e poi erede spirituale di Gherardino Segarelli da Parma, passato alla storia per la penna non propriamente a lui favorevole di Salimbene de Adam. Gherardino aveva dato vita agli Apostolici, un movimento di penitenza e di ritorno alle origini dell’uguaglianza cristiana e della più stretta povertà francescana. Gherardino imitava in tutto Francesco d’Assisi , definendolo il secondo Cristo ma le sue convinzioni , il suo pensiero non ortodosso sulla linea della Chiesa Romana, i suoi comportamenti giullareschi e trasgressivi lo portarono al carcere duro e alla successiva condanna a morte il 18 luglio del 1300.
Dolcino Torielli nacque intorno al 1250 , sembra a Prato Sesia (Novara). Si dice fosse il figlio illegittimo di un prete spretato ma su Dolcino poco si sa , poco è stato scritto e quasi tutto fu scritto per denigrarlo e collocarlo agli occhi del lettore nella sfera del dissoluto. In gioventù probabilmente fu un francescano, la cosa non è certa, ma sicuramente compì studi regolari perché mostrò sempre una certa cultura e una buona conoscenza del latino e delle Sacre Scritture. Nel 1290 entrò nel movimento degli apostolici di Gherardo Segarelli. Restò nell’ombra per diversi anni finchè nel 1300 , dopo la morte sul rogo di Segarelli, larepressione da parte della Chiesa cattolica fu violenta e molto brutale al tal punto che Dolcino ,come molti altri apostolici , fu costretto a fuggire in Dalmazia. E’ da questo esilio che scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento, presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storia, rielaborando le ben note teorie di Gioacchino da fiore. Il pensiero di Dolcino è semplice ed interessante. Gli Apostolici sono un movimento totalmente spirituale senza alcun vincolo esterno. Sono uno strumento di Dio per salvare le anime. I malvagi per Dolcino sono i preti e i frati francescani e domenicani. Inoltre afferma che il quarto ed ultimo Stato della Chiesa è stato annunciato da segnali inequivocabili. Dolcino scrive in questa interminabile lettera che tutti i preti , frati, eclessiastici di varia natura saranno sterminati da Federico d’Aragona ,re di Sicilia. Profetizza anche che BonifacioVIII sarà assassinato ed al suo posto andrà un Papa eletto direttamente da Dio riportando la pace tra i Cristiani. Insomma, una cosetta non da poco questo scritto!
Ben presto Dolcino fu nominato capo del movimento degli apostolici e nei primi mesi del 1303, egli trasferì il movimento sulle montagne del Trentino, vicino ad Arco sul Lago di Garda, dove conobbe Margherita di Trento, figlia della contessa Oderica di Arco ed educanda in un convento. La fanciulla sarebbe diventata la futura compagna di Dolcino, nella vita e nella morte.
La rigorosa coerenza di Dolcino nell’essere sempre aderente alle sue idee con l’azione predicata, in tempi in cui questo esercizio – stando a quanto racconta la storia – era totalmente disatteso in primis proprio dai grandi prelati della Chiesa Cattolica, fece sì che il seguito che raccolse durante l’incessante peregrinare in alta Italia (ben presto tramutatosi in vera e propria fuga dalle autorità) aumentasse giorno dopo giorno. Come sempre avveniva in casi simili, molti – avvinti dalla sincerità e coerenza del predicatore di passaggio – decidevano di seguirlo. Spesso questi seguaci si spogliavano di tutti i beni vendendo ciò che possedevano per versare il ricavato nelle casse comuni del movimento. Il suo carisma , la sua coerenza , preoccupavano non poco la Chiesa corrotta dell’epoca che iniziarono a perseguitarlo in tutti i modi. Questa persecuzione aumentò il prestigio di Dolcino che trovò sostegno e rifugio in svariati luoghi dell’Italia settentrionale, dove continuò a predicare le sue convinzioni.
Gli inquisitori avevano ormai istituito numerosi processi contro Dolcino ed i suoi seguaci.
Dolcino non dovette scappare da Vercelli per via dei furti come viene spesso scritto, ma per ragioni politiche. L’instaurazione guelfa aveva appunto fatto scappare le famiglie ghibelline.
Rifugiatosi ad Arco, Dolcino scrisse la seconda delle sue lettere agli apostolici dove pubblicò anche il numero di seguaci in Italia. I fratelli e sorelle degli apostoli erano più di quattromila, con i nomi degli esponenti di maggior rilievo. Confermava la sua profezia di sterminio di preti e monaci e quanto altro appartenente al clero cattolico romano, ad opera di Federico re di Sicilia che nel 1305 avrebbe ottenuto giustizia e pace tra i Cristiani. La pressione degli inquisitori e fedeli a Roma purtroppo si era fatta sempre più aggressiva e il suo gruppo era ormai alle strette. Dolcino pensò così di trovare rifugio tra le montagne dove trascorse la sua giovinezza. Pensava di potersi difendere, attendendo che le sue profezie si fossero avverate.
La lunga mano dell’Inquisizione era giunta fino in Trentino. Tre apostolici erano stati condannati al rogo. Dolcino decise nel 1304, per organizzare meglio la resistenza, di guidare i suoi seguaci, con una epica marcia attraverso le montagne lombarde fino in Val Sesia, la sua terra natia. Per l’epoca fu una marcia imponente di quattromila persone che non passò inosservata. Si dice che il nome di Campodolcino, un paese vicino a Chiavenna, sia una diretta testimonianza di questo esodo di massa dei dolciniani. In Val Sesia i dolciniani si insediarono dapprima nella parte bassa della valle tra Gattinara e Serravalle, in località Piano di Cordova, nel feudo dei conti di Biandrate, e grazie all’apporto di servi fuggiaschi dei vescovi di Novara e di Vercelli, arrivarono ad essere una schiera di circa 5.000 persone. Si unirono a Dolcino anche diversi letterati provenienti da varie parti d’Italia (Bologna, Toscana e Umbria). Nei suoi spostamenti/fuga Dolcino continuò la sua predicazione ed aggregò molte altre persone al suo movimento. La sua grande abilità consisteva nell’essere efficace e convincente, ma soprattutto con la coerenza tra il pensiero e l’azione, l’esempio che dava per quell’epoca era già un segnale di grande spiritualità.
Successivamente sotto l’incalzare delle truppe dei vescovi di Novara e Vercelli, decimati e stanchi, essi si spinsero più in su nella valle, nei possedimenti di un ricco valligiano, di nome Milano Sola, di Campertogno, un paese pochi chilometri prima di Alagna. Da lì, per difendersi meglio dapprima si trasferirono sulle pendici della Cima Balme ed infine in Val Rassa, vicino a Quare, su una montagna denominata Parete Calva, dove i superstiti (circa 1.500 persone) si asserragliarono per tutto l’inverno del 1304. Ma nel rigido inverno del 1305 la morsa dell’assedio delle truppe cattoliche e dei valligiani fu talmente incisiva che Margherita di Trento, compagnia di Dolcino, con inaspettato coraggio, decise di guidare il gruppo in una disperata azione di sgancio dall’assedio attraverso montagne e passi innevati fino alla loro nuova roccaforte, il monte Rubello (oggi San Bernardo), vicino a Trivero, in provincia di Vercelli, dove giunsero nel Marzo 1306.
Ranieri Avogadro di Pezzana, vescovo di Vercelli, nonché signore di Biella, organizzò le prime difese.
Nel frattempo, nello stesso 1306, volendo definitivamente farla finita con questa setta, il Papa Clemente V (1305-1314) aveva bandito una crociata, cui avevano aderito gli Inquisitori di Lombardia, l’arcivescovo di Milano, e Ludovico di Savoia. Addirittura furono reclutati uomini persino a Genova da inviare contro Dolcino.
Le bolle papali, emesse da Bordeaux, da papa Clemente V, il 26 agosto del 1306 fecero accorrere ancora più gente in difesa della Chiesa Romana. Veniva raccontato che gli uomini di Dolcino fossero spietati criminali, che raziassero, uccidessero, mutilassero ed incendiassero ogni cosa che trovavano sul loro cammino. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l’eresia dolciniana – questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche – avrà rimessa la totalità dei peccati.
I dolciniani, completamente circondati e posti d’assedio dalle truppe cattoliche, resistettero per circa un anno. Con una resistenza disperata gli uomini di Dolcino riuscirono a respingere l’esercito. Oramai ridotti in condizioni disumane (mangiavano carne di topi e di cani e ci furono perfino episodi di cannibalismo), dopo un ultimo assalto, costato la morte a 800 dolciniani, si arresero alfine nel 1307. La battaglia ebbe luogo il 23 Marzo (giovedì santo), l’esercito cristiano fece 140 prigionieri, trovando sulle montagne oltre 400 morti, dalla fame e dal freddo.
Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo di Bergamo, luogotenente di Dolcino, vennero catturati vivi e il 25 marzo furono portati al castello di Biella, dove Longino e Margherita furono arsi sul rogo il 1° Giugno 1307, nonostante i tentativi di alcuni nobili locali di salvare la vita della donna, facendola abiurare. Longino fu arso vivo sulle rive del Torrente Cervo. Dolcino fu costretto ad assistere al rogo della sua compagna (Darà – come dice un cronista anonimo del tempo – continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero”) e successivamente portato a Vercelli per essere, a sua volta, arso (1° giugno del 1307). A sentenza emessa e prima che fosse giustiziato, Dolcino su sottoposto ad una sorta di tortura: incatenato su un carro tirato da due lenti buoi farà un interminabile percorso per le vie cittadine mentre due aguzzini con tenaglie arroventate strapperanno, di tanto in tanto, parti del suo corpo. Il cronista anonimo – che assistette alla scena – scrisse che “mai un solo lamento uscì dalla bocca del frate, e solo quando gli fu strappato il pene si sentì un verso rauco come di animale ferito”. Quindi Dolcino fu issato sul rogo e arso vivo. Nonostante questa atroce tortura, Dolcino non si lamentò mai, eccetto quando si strinse nelle spalle all’amputazione del naso o quando sospirò profondamente al momento dell’evirazione. Nessuno di loro rinnegò le proprie dottrine, nemmeno durante le precedenti torture ed il rogo.
Uno tra i più crudeli inquisitori della storia della Chiesa, Bernardo Gui, disse:
“Dolcino radunò nella sua setta ereticale molte migliaia di persone di entrambi i sessi, da ogni dove, soprattutto in Italia settentrionale e in Toscana e nelle altre regioni vicine, e a loro trasmise una dottrina pestifera e predisse molti avvenimenti futuri con spirito, non tanto profetico quanto fanatico ed insensato, affermando e fingendo di avere da Dio delle rivelazioni e uno spirito profetico. Ma in tutte queste cose fu trovato falso, ingannatore ed illuso, insieme con Margherita, sua malefica ed eretica compagna nei delitti e nell’errore…” (Bernardo Gui, De secta illorum qui se dicunt esse de ordine apostolorum).
Dolcino e la sua guerra contadina fu camuffata dai poteri forti (civile e religioso) come eresia e stregoneria, con relativi rituali sacrificali di decine di montanare/i arsi sulle pubbliche piazze.
Il messaggio che usciva da questo movimento era troppo ingombrabte e pericoloso per chi deteneva il potere in quei secoli. Dolcino si basava su due paradigmi di riferimento della vita comune, fondati sul principi dell’uguaglianza naturale e spirituale, e praticati attraverso la regola del solidarismo redistributivo di sopravvivenza. E i ricchi , l’aristocrazia, il clero che fine avrebbero fatto in questo mondo egualitario di redistribuzione equa delle risorse ?
Ma in sostanza cosa diceva Dolcino ?
Dolcino si ispirò alle dottrine millenariste di Gioacchino da Fiore. Secondo Dolcino, la storia dell’umanità era contraddistinta da quattro periodi:
– Quello del Vecchio Testamento, caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano,
– Quello di Gesù Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà,
– Quello iniziato al tempo dell’imperatore Costantino e di Papa Silvestro I, caratterizzato da una decadenza della Chiesa a causa dell’accumulo delle ricchezze e dell’ambizione,
– Quello degli apostolici Dolciniani, caratterizzato dal modo di vivere apostolico, dalla povertà, dalla castità e dall’assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei tempi.
La vicenda degli Apostolici si inscrive nella grande crisi della cristianità tra XIII e XIV secolo, ben rappresentata dalla disputa interna all’ordine francescano tra conventuali e spirituali. Da un lato i fautori di una canonizzazione e di un’equiparazione agli altri ordini monastici, dall’altro i partigiani dell’adesione letterale al messaggio e all’esempio di Francesco, che rifiutavano proprietà, beni, inserimento nella gerarchia e nel “sistema” Chiesa. Un conflitto che si trascinerà per oltre un secolo a suon d’inquisizioni, e da cui a loro volta si diramano altri conflitti e movimenti.
Anche gli Apostolici di Gerardo Segarelli prima e di Dolcino poi predicavano e praticavano una separazione totale dalla Chiesa romana, vista come un’istituzione corrotta e putrescente, destinata ad essere abbattuta da un nuovo potere statale, un nuovo Imperatore, che avrebbe finalmente strappato la sposa di Cristo al suo declino, privandola delle proprietà e del potere secolare. In questo modo essa sarebbe tornata a essere santa, a occuparsi dello spirito. Posizione questa, condivisa da molti intellettuali dell’epoca, tra cui Dante Alighieri, solo per citarne uno.
Così, con più di duecento anni d’anticipo su Martin Lutero, gli Apostolici proclamarono il sacerdozio universale, ovvero la necessità che il cristiano dovesse vivere direttamente il rapporto con Dio, senza bisogno di una struttura ecclesiastica che pascolasse il suo gregge.
Dolcino e i suoi scelsero di praticare già questa nuova dimensione, di tagliare i ponti con la Chiesa e di vivere liberi e sciolti da ogni vincolo. Saldarono il loro credo con le istanze delle popolazioni povere delle valli alpine e alla lotta di quest’ultime contro i grandi feudatari ecclesiastici e i loro interessi. Diedero vita a un piccolo modello di società comunistica e – come avrebbe scritto Calvino due secoli più tardi riferendosi ad altri eretici – “libertina”. Basti pensare al ruolo fondamentale che ebbero le emancipate figure femminili all’interno delle comunità apostoliche, prima fra tutte Margherita da Trento, la compagna di Dolcino. Ma anche al ruolo strategico che gli “eretici” svolsero nell’organizzare la resistenza montana contro le rappresaglie dei nobili. Non violenti per vocazione, i dolciniani scelsero di autodifendersi, quando il papa bandì la crociata contro di loro. Fino alle estreme conseguenze.
Così l’idea di una fraternitas universale, posta dal cristianesimo e a cui tanti eretici si rifacevano, si ritrova sui vessilli della Rivoluzione francese in veste laica e resta ancora oggi uno dei parti migliori della cultura occidentale. Allo stesso modo l’idea di un ambito religioso separato da quello politico-istituzionale, una Chiesa che abbandona il potere secolare, si è potuta affermare tardi e anche in questo caso a prezzi altissimi, ma rimane più che mai epicentro della nostra peculiarità culturale.
Non solo. Oggi il sistema economico che l’Occidente ha esteso al mondo intero vive una crisi epocale. In questo passaggio, i movimenti di contestazione e rinnovamento che aspirano a un altro mondo possibile sono spesso propensi a ricercare altrove, in spazi geopolitici lontani dal nostro, elementi di una sensibilità diversa, che immetta sangue e idee nuove nel modo tradizionale, stantìo, che abbiamo di rapportarci alla politica. In tempi di globalizzazione questo non solo è assolutamente giustificato, ma anche giusto.
In sintesi ,per chiudere , diciamo che Francesco nel 1209 raccolse intorno a se dodici compagni , si recò a Roma per ottenere l’autorizzazione della regola di vita dal Papa. Francesco non contestava l’autorità della Chiesa . Francesco accettò la Chiesa come “madre” e le offriva sincera obbedienza. Dolcino non scese a compromessi e morì tra le fiamme da uomo libero. Non so chi dei due era nel giusto. Forse nessuno dei due.
mi trovo molto allineato con quanto espresso