RICCARDO CUOR DI LEONE
08/07/2019
Oggi, mentre sorseggiavo il caffè e smanettavo sul computer, mi è capitata per puro caso nuovamente tra le mani la lettera d’addio dell’imprenditore Riccardo Morpurgo di Senigallia. A distanza di qualche settimana dai fatti accaduti in quel di Senigallia credo che molti lettori faticheranno non poco a capire di cosa si tratta. E’ la legge del “mordi e fuggi” che domina ormai questo pianeta. Tutto si consuma velocemente senza perdere tempo e poi si getta per fare spazio alla nuova esperienza che subisce lo stesso passo di consumo di quella appena gettata. Una legge inviolabile per chi vuole sopravvivere in questa dimensione di superficialità globale. Un tempo si diceva che i più forti ce l’avrebbero fatta. Più forti in tutti i sensi, anche intellettualmente , con capacità di approfondimento sviluppate per capire i fatti che ti avvolgono e coinvolgono, per avere capacità critiche e di pensiero. Oggi chi perde tempo ad approfondire è spacciato. Più sei superficiale, leggero, e più riesci a galleggiare in questo fiume inquinato ed impetuoso della vita. La digitalizzazione del nostro mondo , i social, la globalizzazione avevano promesso rose e fiori all’umanità ma di fatto mi sembra siano rimaste solo le spine. Ma torniamo a Senigallia e diciamo onestamente che davanti a fatti drammatici come quello dell’ingegnere Riccardo, credo che gran parte , se non tutta, la popolazione italiana sia rimasta sinceramente sconvolta e indignata, ma non più di 24 ore, al massimo 48. Le cause che hanno scatenato tali fatti? Difficili da approndire ma sicuramente drammatiche. E qui mi fermo per tornare a Morpurgo. Per ricordare a tutti , compreso me stesso, chi era è necessario aggiungere al suo nome : “l’imprenditore suicida”. Proprio così , “la lettera dell’imprenditore suicida”. Avevo a suo tempo scaricato da internet copia della sua lettera che la famiglia volle rendere pubblica su giornali e altri media. L’avevo scaricata perché mi aveva profondamente colpito e addolorato la sua storia. Una storia che capisco e conosco molto bene avendo fatto a mio tempo anche io impresa. Il ruolo delle banche , della burocrazia, dei politici è in una nazione che tira la carretta con decine di migliaia di piccole e medie imprese, a dir poco essenziale ! Accade troppo spesso che l’impresa e l’imprenditore che la sostiene non sono minimamente aiutati, sostenuti, consigliati, capiti ,stimolati. L’imprenditore in questa Italia di risate e sberleffi è solo. Anzi , mi correggo. Apparentemente è solo perché ogni azienda italiana , di qualunque tipo sia non ha importanza, ha un socio occulto che perennemente l’accompagna : “Lo Stato”. Andrebbe bene , benissimo se questo socio facesse tutto il possibile per facilitare la vita e la produzione delle aziende che gli danno di che vivere. Ma no! Lui si diverte a creare problemi. Non sto scherzando ! E’ così anche se sembra folle. La solitudine dell’imprenditore è aggravata da questa beffa. Il socio occulto non snellisce la burocrazia, non legifera a favore di chi fa impresa ma neanche a favore di chi lavora per l’impresa, non aiuta le famiglie in difficoltà, non favorisce la ricerca, non investe più risorse nella sanità, non batte i pugni sui tavoli della finanza internazionale, non obbliga le banche a finanziare le imprese, e così via potrei andare avanti per ore su questi temi di quello che non fa. Siamo talmente presi dal problema della migrazione che non c’è tempo per pensare ad altro. Del resto mi domando perché dovrebbe farlo dato che tutte le società , tutti i lavoratori, i liberi professionisti, i pensionati, insomma tutti sono costretti per legge ad averlo come socio occulto questo benedetto “stato”. Non ce ne possiamo liberare ! Ma allora facesse qualcosa di buono per questi suoi soci che se lo fa poi ne trarrà sicuramente vantaggi economici indiscutibili! Ma questo è troppo complicato da capire per politici che vivono alla giornata. Oggi sono al potere e domani chi lo sa. Quindi acchiappa tutto quello che puoi acchiappare e del resto chi se ne frega !
Venerdì 12 aprile 2019, l’imprenditore edile Riccardo Morpurgo è morto suicida per tutto questo mondo marcio che ci sta soffocando. E’ morto anche per noi , per darci una scossa, per svegliarci , per farci reagire. Ha lasciato una lettera alla sua famiglia in cui spiegava i motivi del suo gesto. Un uomo distrutto per il quale ho tanta ammirazione. Non invito all’emulazione ma rendo gli onori a lui anche se disapprovo moralmente la scelta estrema che ha fatto.
Questa che segue è la sua lettera integrale :
“Una crudele, sfinente ed umiliante alternanza tra illusione e repentina disillusione, tra fiduciosa, e finalmente luminosa, speranza ed immediata cocente delusione, e così per anni, in attesa di una positività alla quale non credo più. Ed allora queste brevi parole per giustificare un passaggio terreno che non può ridursi ad una supina ed inerme accettazione degli eventi: lo debbo ai miei figli ed a mia moglie che mi hanno sempre gratificato di una cieca fiducia e che certo non approveranno, lo debbo ai miei collaboratori, tutti ragazzi eccezionali che certamente hanno pieno diritto ad un futuro meno funereo di quello che invece si vuole loro prospettare, lo debbo ai miei tanti amici cari che molto patiranno, lo debbo a me stesso che della onestà, dell’etica, professionale e non, della libertà e giustizia sociale ho fatto un credo incrollabile.
Quando, ad una precisa domanda, ho risposto «Mi spiace, ma non so più cosa fare», ho letto nei suoi occhi un lampo di terrore e nelle sue parole «Ma come, ingegnere, tu, che sei la nostra speranza» lo sconforto assoluto. Ho capito in quel momento che bisognava reagire: ed ho reagito, progettato, relazionato, mi sono umiliato sin dove non avrei mai creduto di dovere, potere e sapere fare, ancora progettato, ancora relazionato, ancora umiliato, ho sinanco ipotecato il futuro mio e della mia famiglia, ed inutilmente ho ancora proposto ciò che avrebbe positivamente risolto, solo lo si fosse voluto, e che ora, forse ma tardivamente, si dirà: Giusto! Troppo flebile, evidentemente, la mia voce ed allora, novello, e certamente più modesto, Sansone, con l’ultima stilla di energia che ancora conservo e prima che anch’essa si esaurisca, faccio scoppiare fragorosa la bomba, fiducioso che finalmente venga recepito il mio urlo, disperato. Tanti sono gli errori che ho commesso nella mia vita: errori di supponenza, di ingenuità ed ottimismo nel prossimo, di poca o nulla previdenza, errori (ma chi non?), ma mai sono venuto meno ai dettami di correttezza ed onestà. Me ne vado dunque con la faccia pulita della persona per bene che innalza, misericordioso il Supremo, il dono della vita, che Dio mi ha graziosamente concesso, in favore della giustizia e dell’equità.
Con il tragico, e certo insensato, gesto, spero finalmente di riuscire a risvegliare coscienze intorpidite ed animi accecati: mi rivolgo dunque ai responsabili, assolutamente irresponsabili, degli istituti di credito, ma anche ai pubblici amministratori ed a chi, abusando del suo infimo potere, si arroga il diritto, tralignando la verità, di divertirsi giocando con la necessità, le ansie, le emozioni del prossimo, senza capacitarsi (forse) che il suo divertimento può essere recepito tragicamente da chi lo subisce, ed ancora a coloro che subiscono questa iniqua situazione avvolti nella loro assordante apatia ed indifferenza o, peggio, a coloro che la aggravano con la loro cinica e supponente cupidigia. Compito dei miei collaboratori è svolgere il lavoro ad essi assegnato, e, senza sforzo e senza tema di smentita, do loro atto di essersi sempre impegnati con dedizione, con professionalità ed onestà; mio è (era) il compito di procurare il lavoro ed i mezzi per sostenerlo, e, malgrado mi sia impegnato al limite, ed anche oltre, delle mie, evidenti insufficienti, forze, ho ineluttabilmente fallito: ed allora consapevole del ruolo che mi sono assunto e che mi viene riconosciuto, rispettoso della memoria di Colui che mi ha preceduto, offro la vita ai miei collaboratori, e a quanti altri, perché la issino a vessillo di protesta e di speranza: protesta per ciò che è stato e che ci ha pesantemente, noi incolpevoli, coinvolti e travolti, speranza che uno sforzo comune, e non antagonistico, possa finalmente ravvivare la luce del mattino. Sforzatevi di cogliere rabbia ed ottimismo nel mio sacrificio, ed in quello della mia famiglia, non riservategli pena e commiserazione.
Ai miei meravigliosi figli, ad Allegra, a Gioella, ad Ariele, a Matteo ed alla mia adorata nipotina che mai mi ricorderà, dico: guardate al futuro e ad esso rivolgetevi a testa alta: ve lo consentono e ve lo impongono la vostra bellezza, la vostra trasparenza, la vostra onestà e quella dei vostri genitori; mai e poi mai ed ancora mai dovrete abbassare lo sguardo, perché voi, ed i giovani come voi, siete i veri signori in questo mondo dorato e sbagliato. E a mia moglie, unico, grande ed assoluto amore della mia vita: detergi la doglianza, reprimi lo sconforto, non biasimarmi, ma anzi amplifica l’eco di questo ultimo, immane sacrificio che ti vengo a proporre ed imporre: non cancellerà il dolore, ma se tutto questa qualcosa sarà servito, forse lo lenirà.
Ossequioso all’Onnipotente, credo di essere stato una persona retta, onesta e rispettosa del prossimo, un buon ebreo del quale non vergognarsi di averlo accolto nella Comunità, ed a Lui, timoroso, ma fiducioso, mi presenterò e, … chissà, forse mi ritroverò con papà a calcolare un palazzo sospeso in cielo o forse chissà battaglierò con Danilo, Claudio e Roberto intorno al progetto di una casa di vetro o fors’anche aiuterò Albo e Giorgio a costruire un muro di niente od Angelo a portare a spasso le pecore o forse …
Ti adoro, vi adoro tutti.
Riccardo Morpurgo